“Un giorno, non sai perché, non sai come, ti ritrovi antiquario. Si comincia col fare l’antiquario per finire collezionista, e non ti accorgi che il microbo dell’antichità ti è saltato addosso, ti morde, ti divora, non ne guarirai più, peggio della tubercolosi.”
Son queste le prime righe della raccolta di memorie di Luigi Bellini (Nel mondo degli antiquari, Edizioni DrawUp, 2015). Antiquario, collezionista, creatore del comitato per la ricostruzione del ponte Santa Trinita (occhio: senza l’accento se non volete incorrere nelle ire dei fiorentini!) e ideatore della Mostra Nazionale di Antiquariato: Luigi Bellini fu tutto questo e anche di più.
Nasce a Firenze sul finire dell’Ottocento e qui muore negli anni ’50 del Novecento. Fiorentino di nascita, cosmopolita per vocazione, Bellini inizia la sua carriera di antiquario/collezionista in giovanissima età (per citare Bellini stesso: “Per veri antiquari intendo commercianti e collezionisti, poiché non ne esiste uno che non sia collezionista come non esiste collezionista che non sia antiquario”). Gira per il mondo alla ricerca di arte e affari, trovandoli anche nei posti più disparati grazie al suo infallibile “fiuto di antiquario”.
Questo “fiuto di antiquario” che tanto lo distingueva gli valse anche riconoscimenti internazionali, ma il suo cuore rimase sempre legato alla sua città natale. Bellini racconta che in una città come Firenze nella prima metà del Novecento, l’antiquario doveva essere esperto di tutto e niente allo stesso tempo, di collezionare e vendere qualsiasi oggetto antico dalle sculture alle pitture, dai bronzi alle maioliche, ai mobili e via discorrendo. Nelle grandi città europee gli antiquari si specializzavano, a Firenze invece gli antiquari più importanti cercavano di creare un ambiente, una cornice per le antichità, aggiungendo anche tappeti e stoffe pregiati.
Nelle sue memorie parla spesso della patina, il pennello del tempo come la definisce, soffermandosi spesso sul fatto che gli antiquari, più che specializzarsi, dovrebbero essere esperti del riconoscere il passare del tempo sugli oggetti. Riconoscere e distinguere la patina dal volgare sporco, saperla apprezzare e valorizzare insieme all’oggetto sono tutti elementi che testimoniano l’animo sensibile alla bellezza di quelli che Bellini chiama i veri antiquari.
Le opere d’arte collezionate, le mostre organizzate, i capolavori riscoperti sono sicuramente alcuni dei meriti che gli vengono riconosciuti, ma il più grande è quello di aver dato lustro alla sua bella Firenze, che grazie alla sua infaticabile attività si affermò come punto di riferimento per il commercio antiquario di tutto il mondo. Della città del Giglio, Bellini lascia infine un ritratto poetico:
“Firenze è come un sogno d’altri tempi, una finestra affacciata sul passato, un’immagine di Paradiso, dove tutti gli artisti del Rinascimento stanno banchettando in eterno, e il rumore di questi schiamazzi rimarrà sempre più fresco fino alla consumazione dei secoli”.